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ARTICOLI


L’esperienza soggettiva dell’ageismo: il
questionario sull’ageismo percepito (PAQ)

L’età percepita dagli individui anziani è stata riconosciuta come potenziale
fattore di rischio per la salute fisica e mentale. Si è cercato di sviluppare una
questionario in grado di quantificare l’ageismo percepito tra gli individui
anziani (55+), inclusi stereotipi, pregiudizi e discriminazioni sia positivi che
negativi. Si parla anche di auto-ageismo. Il questionario sull’età percepita
(PAQ-8) è composto da 8 elementi, con buone proprietà psicometriche e una
struttura a due fattori che distingue una sottoscala positiva (3 elementi) e
negativa (5 elementi). Il questionario è stato validato. I modelli di
correlazione delle sottoscale con l'autopercezione degli individui
dell'invecchiamento e delle variabili di salute mentale (ad esempio, qualità
della vita, benessere mentale, depressione, ansia, solitudine e stress
percepito) concordano con le ipotesi teoriche e la conoscenza esistente del
concetto di ageismo . Il PAQ-8 aiuta a raccogliere dati più standardizzati sul
livello, il ruolo e l’impatto dell’ageismo percepito (Int J Environ Res Publ
Health 2022; 19: 8792).

Questionario PAQ-8
1. nella vita quotidiana tu anziano hai l’ impressione di essere considerato come un
bambino?
2.un eventuale tuo parere enunciato non è preso sul serio perché sei vecchio?
3.i tuoi consigli e pareri in una conversazione non sono apprezzati perché enunciati da un
anziano?
4.gli altri manifestano pregiudizi negativi esagerati (in merito a debolezza, vulnerabilità,
lento, noioso) nei tuoi confronti perché sei vecchio?
5. gli altri ti ritengono saggio e sensibile soltanto perché sei anziano?
6. gli altri ti considerano meno capace mentalmente e fisicamente per la tua età?
7.la gente pensa in modo dispregiativo e con poco dignità quando giudica il ruolo della
persona anziana nella società?
8. Gli altri ti considerano parte integrante e rilevante della società per la tua età e per le
attività che svolgi come nonno e nel settore del volontariato?

Poiché la prevalenza di fattori che influenzano la percezione dell’età da parte
degli anziani, nonché il conseguente impatto sulla salute fisica e mentale,
possono talvolta essere radicati in paesi o culture specifici – ad esempio,
alcuni paesi/culture sono più ottimisti o religiosamente impegnati di altri
(alcuni paesi sono individualisti, mentre altri sono collettivistici- , la
generalizzazione dei risultati ottenuti con il questionario sull’ ageismo
percepito a tutte le popolazioni potrebbe non essere corretta: infatti per
alcuni paesi o culture, gli esempi inclusi nel PAQ-8 potrebbero non

rappresentare le forme di stereotipi, pregiudizi o discriminazioni più
comunemente riscontrate. Servono quindi ricerche su specifici territori e
contesti per validare non solo il semplice questionario PAQ-8, ma anche per
stabilire quanto l’ ageismo percepito incide sulla salute mentale e fisica. Si
ricorda che le altre forme di ageismo sono l’ ageismo istituzionale (leggi,
regole, ecc) e quello intergenerazionale che potrebbero essere misurati e
corretti.



L’aspettativa di vita è aumentata sostanzialmente negli ultimi 150 anni; la maggior parte delle persone trascorre anche un periodo maggiore di tempo soffrendo di varie malattie legate all’età. Pertanto, ritardare il declino funzionale legato all’età ed estendere la durata della vita vissuta in salute  è un obiettivo generale dell’attuale ricerca sull’invecchiamento e anche un obiettivo fondamentale della Geriatria e Gerontologia.

 

Si veda l’ allegato SIGG Foxo3 oggi



Nel lontano 1969 si descrissero le caratteristiche dell’ AGEISMO e le sue conseguenze nella vita delle persone anziane, soprattutto di quelle con problemi e menomazioni. Di seguito si elencano le azioni che dovrebbero essere realizzate per contrastare l’ ageismo.

Ageismo e Carta di Firenze: i 12 punti per un futuro senza discriminazioni legate all’età.

L’ageismo, ossia l’insieme di pregiudizi e stereotipi negativi associati all’età, rappresenta una vera e propria piaga sociale che colpisce persone di tutte le età, con effetti particolarmente negativi sugli anziani. Proprio per contrastare questo fenomeno, nel 2024 a Firenze è stata redatta la Carta di Firenze, il primo manifesto mondiale contro l’ageismo sanitario.

I 12 punti della Carta di Firenze:

  1. Riconoscere l’ageismo come un problema di salute pubblica: L’ageismo è un problema serio che ha un impatto significativo sulla salute e sul benessere degli individui e della società.
  2. Promuovere la formazione e l’educazione contro l’ageismo: È fondamentale educare il personale sanitario, i cittadini e i decisori politici sull’ageismo e sui suoi effetti negativi.
  3. Sviluppare e implementare politiche e interventi contro l’ageismo: Le istituzioni devono impegnarsi a contrastare l’ageismo in tutti i contesti, incluso quello sanitario.
  4. Promuovere la ricerca sull’ageismo: È necessario approfondire la conoscenza dell’ageismo e delle sue cause per poter sviluppare interventi efficaci.
  5. Migliorare la raccolta dati sull’ageismo: La raccolta di dati disaggregati per età è fondamentale per monitorare l’andamento del fenomeno e l’efficacia degli interventi.
  6. Proteggere i diritti delle persone anziane: È fondamentale garantire il rispetto dei diritti delle persone anziane, in particolare in ambito sanitario.
  7. Promuovere la partecipazione attiva delle persone anziane: Le persone anziane devono essere coinvolte attivamente nella progettazione e nell’implementazione di interventi contro l’ageismo.
  8. Sostenere la comunicazione intergenerazionale: La comunicazione e la collaborazione tra persone di diverse età sono fondamentali per costruire una società più inclusiva.
  9. Combattere l’isolamento sociale degli anziani: L’isolamento sociale è un fattore di rischio per l’ageismo e per la salute mentale e fisica degli anziani.
  10. Promuovere la salute e il benessere degli anziani: È fondamentale investire in interventi che promuovano la salute e il benessere degli anziani.
  11. Sostenere la ricerca sull’invecchiamento: La ricerca sull’invecchiamento è fondamentale per migliorare la qualità della vita delle persone anziane.
  12. Celebrare la diversità e l’inclusione: La diversità è una ricchezza e l’inclusione è un valore fondamentale per una società sana e giusta.

La Carta di Firenze rappresenta un passo avanti importante nella lotta contro l’ageismo. È fondamentale ora impegnarsi per la sua implementazione e per la diffusione dei suoi principi a livello globale.

Il lavoro pubblicato qui: Carta di Firenza papaer 24



Raccomandazioni di consenso per espandere le ricerche finalizzate  al prolungamento della vita in salute (Healthspan).

Dublin Longevity Declaration

https://dublinlongevitydeclaration.org/

Raccomandazioni perché si promuova rapidamente la ricerca per prolungare la vita in salute.

 

Da sempre l’opinione pubblica è stata concorde nel ritenere che l’invecchiamento sia inevitabile. Per gran parte della nostra storia, anche arrivare alla vecchiaia è stato considerato un risultato significativo e, sebbene i centenari siano esistiti almeno fin dai tempi dei Greci, l’invecchiamento non è mai stato di grande interesse per la medicina.  Questo è cambiato in tempi recenti: la medicina della longevità è diventata mainstream; si sono accumulate prove che le modifiche dello stile di vita prevengono le malattie croniche legate all’invecchiamento e prolungano la durata della vita in salute. Più recentemente, la ricerca sulla longevità ha fatto grandi progressi: si è scoperto che l’invecchiamento è malleabile e sono state identificate in modelli animali centinaia di strategie di intervento che prolungano la durata della vita e la durata della salute. Sono in corso studi clinici sull’uomo e già i primi risultati suggeriscono che l’età biologica di un individuo è modificabile.

Nel settore della longevità sono stati fatti molti sforzi mirati  anche a definire con precisione il concetto di  “durata della salute”. Perché è importante la durata della salute (per quanto tempo rimaniamo in salute) e non il suo effetto collaterale sulla durata della vita (per quanto tempo viviamo)? Le ragioni sono legate più alla percezione che alla realtà: quando si chiede alle persone se vogliono vivere più a lungo essere fanno riferimento  alle esperienze familiari del passato,  ai propri genitori che spesso hanno sofferto per gravi problemi

di salute con ridotta qualità della vita; ovvia la conclusione  che non vivere a lungo in quelle condizioni.  Ciò è contrario ai risultati delle recenti ricerche sulla longevità, che mostrano che è possibile intervenire nella tarda mezza età per estendere contemporaneamente sia la salute che la durata della vita. Sottolineando la durata della salute si riduce anche le preoccupazioni di alcuni individui sul fatto che sia etico vivere più a lungo spesso con disabilità  Esiste però un problema: molti interventi sulla longevità possono estendere maggiormente la durata della salute rispetto alla durata della vita; gli interventi sullo stile di vita come l’esercizio fisico probabilmente si adattano meglio a questo modello. Molti interventi efficaci  sulla salute nei modelli di invertebrati hanno effetti più modesti nei topi e si teme che possano essere ulteriormente ridotti negli esseri umani. In altre parole, i farmaci e le piccole molecole di cui siamo oggi soddisfatti,  potrebbero, nonostante i loro ingenti costi di sviluppo e i lunghi processi di approvazione, estendere la durata media della salute solo di cinque o dieci anni e potrebbero non prolungare la speranza di vita globale (lifespan). Quindi si tratta di valutare correttamente quanto detto e cercare di trasferirlo alla pratica medica che ne risulterebbe rivoluzionata.

Un prolungamento di cinque anni della durata della salute umana, con un accesso equo per tutte le persone alle metodologie alle quali si è accennato, consentirebbe di risparmiare trilioni di dollari all’anno di costi sanitari, fornire una migliore qualità di vita a tutta la popolazione e migliorare le sfide demografiche che si stanno evidenziano nella prima metà di questo secolo. Molti esperti del settore ritengono che questo è un risultato probabile nel   prossimo futuro ed uno degli obiettivi che la  medicina della longevità dovrà realizzare tenendo ben presente che è possibile fare di più. Probabilmente  si dovrà evitare di porre l’accento sulla durata della vita. Due sono le domande fondamentali a cui dare risposta:  perché gli esseri umani invecchiano e cosa possiamo fare al riguardo per influenzarne le modalità? Questi lo sono sicuramente due grandi domande della biologia umana. Anche se facciamo del nostro meglio per ignorarlo, la prospettiva di un inevitabile declino della salute che porta alla mortalità modella i nostri pensieri e le nostre azioni. Nonostante gli incredibili progressi nella ricerca sulla longevità, queste domande rimangono ancora senza risposte precise. Quali processi biologici portano all’invecchiamento dell’ organismo?  L’invecchiamento può essere rallentato non solo in modo significativo, ma probabilmente anche invertito (ringiovanimenti)?  In che modo gli esseri umani e la società sarebbero diversi se raggiungessimo questi obiettivi?

Rispondere a tali domande costerà miliardi di dollari in ricerca e molto tempo, ma lo affermiamo che i risultati sarebbero rilevanti e giustificare i costi.

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È necessario rispondere alle domande sopra ricordate perché le conoscenze acquisite porterebbero inevitabilmente a importanti progressi medici e anche sociali. Un altro motivo è quello che non è guidato dall’utilità, ma piuttosto dal classico “knowledge for” cioè argomento per  esaudire la conoscenza”. Comprendere noi stessi e gli organismi che ci circondano  giustifica la spinta  a fare ricerca; rispondere alle  domande di base in modo affidabile produce conoscenza utili in futuro. Pensiamo alla influenza che ebbe la penicillina! ;  la ricerca su temi fondamentali  come l’invecchiamento, è di  grande rilevanza da tanti punti di vista.  Naturalmente, realizzare un controllo dei meccanismi  dell’invecchiamento non significherebbe l’immortalità. Tuttavia farebbe  cambiare radicalmente il mondo in cui viviamo e il modo in cui lo viviamo. La qualità della vita potrà migliorare mentre la paura di perdere l’ autosufficienza potrebbe diminuire  influenzando i rapporti nel mondo sociale. Si possono solo ipotizzare gli effetti  dell’energia della giovinezza combinata con la saggezza dell’esperienza: si potrebbe vivere abbastanza a lungo per i viaggi nello spazio, tornare a scuola a 80 anni per studiare le ultime novità in campo scientifico, iniziare una nuova carriera lavorativa, vedere i tuoi pro-pronipoti. Ci potrebbero essere anche risultati imprevisti e non positivi. Quanti di noi vorrebbero tornare indietro nel tempo?; e il futuro? L’ottimismo per un futuro migliore ci spinge a muoverci con obiettivi rilevanti.

Il futuro è rispondere alle grandi domande della biologia. La grande sfida dell’invecchiamento è la più importante queste.

Quali carte devono essere scoperte per rispondere alle domande sulla longevità? Quali strategie di intervento ci porteranno oltre i modesti effetti sulla durata della vita in salute e verso un cambiamento radicale nel tasso di invecchiamento biologico?; è fondamentale la conoscenza della biologia alla base dell’invecchiamento?

La ricerca biogerontologica è spesso di natura riduzionista, approfondendo  specifici aspetti e alcuni percorsi per esempio le proteine ​​e geni che influenzano il modo in cui invecchiamo; ora è evidente che i processi che controllano l’invecchiamento rappresentano una rete di interazioni complesse che alla fine causano un certo fenotipo di invecchiamento dell’ organismo. Servono quindi conoscenze più sistematiche.

Per rispondere alla domanda “perché invecchiamo” è necessario adottare strategie per ricostruire le alterazioni molecolari e percorsi integrandoli  in un

 

modello unificato che spieghi l’invecchiamento. Una tale sintesi richiede un

approccio multidisciplinare che combina metodi e strumenti della biologia molecolare e dei sistemi complessi, teorie , scienze fisiche e ingegneristiche. Il tutto potrà essere notevolmente facilitato dalla disponibilità di dati biomedici umani, come le cartelle cliniche elettroniche e le biobanche. La modellazione basata sull’intelligenza artificiale consentirà di fare progressi anche  in questo campo, portando a misure dell’età biologica, e a nuovi interventi utilizzando  le conoscenze relative ai  diversi aspetti dell’invecchiamento. Tuttavia, è importante andare oltre la modellazione tradizionale  per ottenere modelli significativi del processo di invecchiamento che potrà essere spiegato  in termini comprensibili ed utilizzabili per influenzare positivamente la longevità. Questi includono quelli progettati per migliorare i processi metabolici, ripristinare la vitalità del sistema immunitario, mantenere la composizione corporea giovane, eliminare le cellule senescenti (deleterie), migliorare la risposta allo  stress cellulare. Ma ci sono strategie all’orizzonte (e appena oltre) che potrebbero avere un impatto maggiore.

Questi problemi devono essere seriamente approfonditi e le risorse dovranno essere dedicate a questi fondamentali settori; è evidenti che ci saranno anche insuccessi nelle ricerche sulla biologia dell’ invecchiamento; ma le grandi idee a volte non danno buoni risultati sbagliate, ma quelle giuste arriveranno lontano per superare gli insuccessi.

 

Di seguito elenchiamo alcune delle idee di intervento che sembrano promettenti.  Questi esempi dovrebbero costituire la base per la discussione da parte di una task force appositamente individuata per realizzare risultati biologicamente rilevanti in grado di influenzare la morbilità e mortalità legate all’ età.

Seguono alcune strategie e domande emergenti:

  • Approcci combinatori : possibile prendere di mira più sistemi contemporaneamente per produrre risultati sinergici utili a prolungare la healthspan?
  • Nuove classi di piccole molecole: un ristretto sottoinsieme di piccole molecole può ottenere risultati sulla longevità. Solo studi su larga scala o nuovi approcci porteranno ad una maggiore estensione della durata della vita?
  • Riprogrammazione cellulare: ossiamo riprogrammare le cellule somatiche nei nostri tessuti in modo da promuovere la sostituzione delle cellule danneggiate con il ripristino della funzione dei tessuti?
  • Approcci basati sulla longevità delle specie: possiamo utilizzare gli adattamenti delle specie viventi più longeve per raggiungere una longevità umana paragonabile ai grandi successi della natura, superiore a quanto si è ottenuto con i cambiamenti apportati dagli interventi esistenti?

Terapia genica e cellulare: sia la terapia genica che la terapia cellulare sono sempre più realizzate in medicina. Possono essere impiegate anche  per combattere l’invecchiamento o le condizioni legate all’età?

  • Nuovi bersagli: ad esempio, terapie geniche derivate da studi multiomici. Possono ritardare o invertire i processi di invecchiamento?
  • Strategie emergenti per invertire il deterioramento dell’epigenoma legato all’età: ci sono prove che questo deterioramento riduce il controllo sui parassiti endogeni come retrotrasposoni e retrovirus e aumenta l’infiammazione legata all’età. Può essere riparato?
  • Personalizzazione degli interventi sull’invecchiamento: è probabile che gli eventi generali favoriscano l’invecchiamento; il loro impatto relativo in ​​ciascun individuo è probabilmente variabile rendendo necessario l’ ottimizzazione degli interventi sull’individuo per ottenere risultati utili.
  • Over the Horizon: strategie come la crioconservazione; la mappatura del cervello, la generazione di organi ex vivo potrebbero alla fine essere fattibili.

 

Dovremmo considerare la possibilità che un drammatico prolungamento della durata della vita possa coinvolgere tecnologie di cui non disponiamo completamente ancora la tecnologia e il campo di utilizzazione.

 

È prevedibile un allungamento radicale della durata della vita? Nessuno può rispondere con certezza a questa domanda. Ma ci sono certamente indizi importanti che suggeriscono che l’invecchiamento è sufficientemente malleabile da giustificare che sui processi dell’ invecchiamento siano destinate risorse molto consistenti. Immagina un mondo in cui controlliamo l’invecchiamento, possibilmente la più grande svolta mai vista nella condizione umana in continua evoluzione.

 

 

E’ questa una libera traduzione del testo originale della Dublin Longevity Declaration.

 

Si consiglia di visitare il sito the Declaration’s web site at https://dublinlongevitydeclaration.org.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



Nel 1863 Rudolph Virchow pubblicò “Cellular Pathology as Based on Physiological and Pathological Histology”, stabilendo per la prima volta che la patologia cellulare era strettamente connessa con la patologia umana . Negli anni successivi, l’intuizione del dottor Virchow divenne il motore della scoperta scientifica nel  settore della scienza medica, e della comprensione della fisiologia e della patologia cellulare; si ampliarono poi le conoscenze  ampliò la nostra conoscenza sulla fisiopatologia delle malattie acute e croniche.  Ciò ebbe  un ruolo fondamentale nell’identificazione degli obiettivi per prevenire, curare e modificare le malattie umane.

Oggi, l’accumulo di prove positive nel settore della geroscienza promette di avere un impatto  importante sulla medicina e sulla salute pubblica. La curiosità sull’origine dell’invecchiamento è antica quanto la specie umana. E’ sempre più evidente  che il ritmo dell’invecchiamento è influenzabile nei modelli animali; la ricerca sui meccanismi biologici dell’invecchiamento si è ampliata, passando da un’interessante speculazione a una scienza all’avanguardia della medicina. Mentre gli scienziati studiavano i meccanismi molecolari e cellulari della biologia dell’invecchiamento, hanno scoperto che i “meccanismi dell’invecchiamento” sono, in effetti, “fallimenti” dei meccanismi omeostatici che mantengono la vita; ne conseguono danni cellulari e disfunzioni che portano all’accumulo di deficit multipli che si manifestano clinicamente come malattie croniche e declino delle funzioni e prestazioni sia fisiche che cognitive. Più recentemente sono stati scoperti fattori che preservano o ripristinano i processi molecolari e cellulari “giovanili” in modelli animali a dimostrare che il ritmo dell’invecchiamento è malleabile e che è possibile progettare  una più sana longevità. Queste entusiasmanti osservazioni hanno dato vita al campo della geroscienza, dove espandere il focus della ricerca sull’invecchiamento dai meccanismi dell’invecchiamento ai meccanismi della vita ha enormi implicazioni.     La Geroscience richiede un approccio lungo tutto l’arco della vita perché il declino dell’efficienza dei meccanismi che proteggono dall’accumulo dei danni probabilmente inizia presto. L’equilibrio tra l’accumulo del danno e la sua prevenzione e riparazione può essere compromesso da fattori di stress intrinseci ed estrinseci o dal progressivo indebolimento dei tanti meccanismi di resilienza. Questo equilibrio influisce sulla stabilità della salute prima che emerga qualsiasi evidenza clinica di malattie. Collega inoltre la salute attuale e futura alle esperienze sociali, economiche, psicologiche e ambientali, rompendo i confini tra assistenza medica e salute pubblica. Ultimo ma non meno importante, i “gerotherapeutics” mirano a strategie di resilienza fondamentali per migliorare la durata della salute e prevenire o ritardare l’insorgenza di molteplici malattie in età avanzata. Sono attualmente in corso numerosi studi su potenziali agenti terapeutici.

Il moderno concetto di geroscienza è stato sviluppato da Felipe Sierra e Ron Kohanski in collaborazione con altri scienziati quando il dottor Sierra lavorava ancora presso l’Istituto Nazionale sull’Invecchiamento (NIA). NIA è pienamente impegnata a portare avanti i progressi in questo nuovo importante ramo della scienza e, in questo contesto, è stato promosso il quarto Geroscience Summit, a Bethesda nel 2023, presso il Natcher Conference Center con l’ obiettivo di rivedere e discutere i risultati più avanzati in questo campo (https://www.nia.nih.gov/2023-fourth-geroscience-summit).

Gli obiettivi del Summit sono stati diversi e altamente interconnessi. Essi includono: (i) capire come la geroscienza può diventare un approccio più inclusivo che riguarda anche l’ assistenza medica per tutte le persone e contribuire ad affrontare le disparità sanitarie; (ii) esplorare i meccanismi che, durante l’invecchiamento, aumentano la suscettibilità alla multimorbilità e alle sindromi geriatriche; (iii) discutere lo sviluppo concettuale delle “misure” del ritmo dell’invecchiamento nonché le caratteristiche e le prestazioni delle misure attualmente disponibili e utilizzate; (iv) considerare l’importanza e l’utilità della modellazione matematica e dell’intelligenza artificiale nella geroscienza; (v) discutere le nuove caratteristiche di progettazione che saranno necessarie per implementare gli studi clinici nel settore della  geroscienza.  Questi argomenti toccano gli aspetti più innovativi ed essenziali dell’iniziativa geroscience. Esistono prove evidenti del fatto che complessi fattori biologici, ambientali, socioculturali e comportamentali influenzano la qualità dell’invecchiamento e influenzano sostanzialmente le disparità di salute tra individui e comunità. Tuttavia, gli ambiti chiave delle esposizioni e dei meccanismi biologici che mediano queste associazioni e che possono essere oggetto di interventi sono maturi per ulteriori ricerche, soprattutto se considerati  dal punto di vista del corso della vita. La geroscienza ipotizza che l’invecchiamento aumenta la  suscettibilità globale alle malattie che clinicamente emergono come multimorbilità e fragilità. Pertanto, lo studio di popolazioni speciali che sperimentano traiettorie accelerate di malattie comorbide o di persone con una salute eccezionale in età avanzata (ad esempio, i centenari e i superagers ) potrà fornire indizi sui meccanismi di tale suscettibilità o resistenza e può informare la ricerca biologica sulle disparità di salute legate all’invecchiamento.

La traduzione di questi concetti nella prevenzione e nella cura dei pazienti anziani richiederà necessariamente lo sviluppo di nuovi modelli di ricerca che riflettano i fenotipi e le dimensioni cliniche osservate nei pazienti anziani, comprese le misure di multimorbilità e fragilità. Sono necessarie infrastrutture che facilitino un rapido trasferimento delle conoscenze raccolte dagli studi di laboratorio sugli esseri umani e, viceversa, consentano la verifica delle ipotesi che scaturiscono dagli studi sull’uomo in modelli per convalidare i meccanismi con i quali i gerotherapeutics influenzano i fattori molecolari e cellulari dell’invecchiamento. La formazione di una nuova generazione di Geriatri trarrà beneficio dallo sviluppo di una “cassetta degli attrezzi della geroscienza” che contiene linee guida sulla selezione degli interventi appropriati per migliorare la salute e la qualità della vita delle persone anziane e anche di quelle di media età. Obiettivi importanti sono una migliore concettualizzazione e una migliore prestazione degli strumenti attualmente disponibili per misurare l’“invecchiamento biologico” attraverso modelli matematici che integrano le informazioni trasmesse da molteplici fonti comprese quelle omiche.

Il test finale per dare ulteriore rilevanza all’ipotesi della geroscienza sarà il successo eventuale degli studi clinici che testeranno gli effetti della geroterapia. È stato svolto un lavoro sostanziale per sviluppare le caratteristiche uniche che devono essere incluse nella progettazione di questi studi, anche se pochi sono ancora i dati raccolti dai trials molti dei quali sono in corso. Di certo  Geroscience è al centro della ricerca sull’invecchiamento e ha  implicazioni per la salute umana. Il Summit sopra citato è stato un’opportunità per rivedere ciò che è stato realizzato e per discutere come comunità scientifica quali dovrebbero essere le priorità per le azioni future. In conformità con la filosofia di questo Summit, le Riviste di Gerontologia Serie A: Scienze Biologiche e Scienze Mediche stanno trasformando la loro Sezione Traslazionale in una “Sezione Traslazionale di Geroscienza” permanente, offrendo l’opportunità ai ricercatori di tutte le discipline interessate alla geroscienza di condividere le loro scoperte. e coltivare questo campo in crescita da molteplici prospettive e approcci sperimentali (J Gerontology A, 2023).

In questi giorni la prof Judith Campisi è morta lasciando un’ eredità importante  nel settore della senescenza cellulare e delle sue implicazioni  in molte malatti croniche associate all’ invecchiamento  https://escholarship.org/content/qt8sx47436/qt8sx47436.pdf .

La senescenza cellulare è diventata un punto focale per le biotecnologie: l’arresto permanente della proliferazione induce la senescenza cellulare in risposta all’azione  di stress esogeni ed endogeni  tra cui la disfunzione dei telomeri, attivazione oncogena e persistente danno al DNA. La senescenza cellulare può anche essere un programma controllato che si verifica in diversi modi e in tempi diversi.  Sono note anche attività estrinseche delle cellule senescenti come l’attivazione di un fenotipo secretorio associato alla senescenza: ne consegue infiammazione lenta e danno ai tessuti circostanti con ridotta capacità rigenerativa come si verifica nelle malattie croniche legate all’ invecchiamento. La clearance delle cellule senescenti è diventato un target delle terapie emergenti con farmaco senolitici e senomorfici.  Nature Review Molecular Cell Biology 2007; 8: 729-40 è la pubblicazione fondamentale di J Campisi sulla senescenza cellulare.   Si veda anche : https://www.sigg.it/wp-content/uploads/2022/11/La-senescenza-cellulare.pdf.

 

 



Il deterioramento cognitivo in età avanzata può essere causato da una o più malattie neurodegenerative o da malattie cerebrovascolari, in varie combinazioni. I biomarcatori presenti nei fluidi e le tecnologie di neuroimaging stanno trasformando la diagnosi del deterioramento cognitivo; manca ancora il consenso sul loro uso appropriato nella pratica clinica. Per mettere ordine nella utilizzazione  dei biomarcatori nella   diagnosi del declino  cognitivo in età avanzata, una task force multidisciplinare europea, guidata da G. Frisoni, ha proposto un algoritmo per ottimizzare l’utilizzo dei biomarcatori in presenza di particolari presentazioni cliniche. L’algoritmo è un flusso di lavoro razionale per guidare i medici nella identificazione delle presentazioni cliniche più comuni del declino cognitivo fino alle cause più probabili; prevede 4 punti decisionali che richiedono anche un giudizio clinico esperto.

Il processo di valutazione inizia con la definizione di una diagnosi provvisoria di deterioramento cognitivo (onda 0) e anche la stima della gravità del deterioramento: è il primo punto decisionale. Il medico deve valutare se il paziente è in grado di condurre una vita indipendente e, in caso contrario, in che misura le sue attività della vita quotidiana sono compromesse. L’indagine sul deterioramento cognitivo e sul funzionamento quotidiano richiede quasi sempre l’uso di accertamenti time-consuming riguardanti lo stato mentale e anche interviste ad amici e parenti. Sono disponibili linee guida per la diagnosi di demenza, ma il mancato o ritardato riconoscimento del deterioramento cognitivo è comune nelle cure primarie. Se il deterioramento cognitivo è riconosciuto, ma di entità discutibile, i test neuropsicologici sarebbero utili perché le valutazioni cognitive spesso non sono in grado di distinguere gli individui non cognitivamente compromessi da quelli con deterioramento. Se il deterioramento cognitivo è stato confermato durante l’ondata 0, sono eseguite valutazioni di routine di solito  accessibili nell’ambito delle cure primarie (ondata 1), come gli accertamenti di laboratorio per malattie sistemiche, neuroimaging strutturale (MRI o TC) e più raramente, un EEG . Questi test facilitano l’identificazione di quei biomarcatori che potrebbero chiarire le cause del deterioramento cognitivo.

Per adeguarsi alle procedure normalmente utilizzate come pattern diagnostici nella pratica clinica, la task force propone  una designazione sindromica intermedia basata sulle valutazioni cliniche nella fase 0 e sui test neuropsicologici e sugli studi di laboratorio nella fase 1. Le competenze di un medico esperto sono necessarie a livello questa seconda decisione che richiede  molteplici fonti di informazione,  per proporre una sindrome clinica provvisoria con anche un’ipotesi causale provvisoria: questa  porterà alla scelta dei biomarcatori per ulteriori indagini.    Una volta proposte la  sindrome clinica provvisoria e l’ipotesi causale provvisoria, il processo diagnostico della task force raggiunge un terzo punto decisionale. Il medico deve decidere se sono necessarie maggiori informazioni per stabilire con maggiore certezza quale sia la causa sottostante o, in alternativa, se le caratteristiche clinicamente evidenti sono sufficientemente chiarite per guidare l’approccio terapeutico e gestionale.

Le ondate 2 e 3 dell’algoritmo proposto dalla task force utilizzano studi di imaging  o esami del liquido cerebrospinale che sono probabilmente disponibili solo agli specialisti del settore. Sulla base della totalità della presentazione clinica e dei dati dei biomarcatori raccolti nelle onde 1, 2 e 3, al quarto punto decisionale si giunge alla diagnosi causale. La task force si concentra sulle complessità dei biomarcatori delle ondate 2 e 3 perché, anche tra gli specialisti nella cura della demenza, la conoscenza sui vantaggi e sui limiti dei biomarcatori si è evoluta rapidamente. L’approccio integrato dei biomarcatori clinici alla diagnosi dei disturbi cognitivi in ​​età avanzata, in tutta la sua complessità, rappresenta un contributo importante, ma è solo all’inizio. Le conoscenze sulle capacità diagnostiche dei biomarcatori, in particolare di quelli plasmatici, stanno aumentando a un ritmo vertiginoso; alcune delle raccomandazioni della task force saranno presto sostituite da nuove informazioni. La preoccupazione di chi ha scritto l’ editoriale  non riguarda l’algoritmo e i suoi dettagli, ma piuttosto il numero modesto di medici con  le competenze necessarie per esprimere i giusti giudizi che precedono la determinazione dei biomarcatori da utilizzare . Anche se si spera che i medici di base abbiano sufficienti conoscenze per stabilire una diagnosi provvisoria di deterioramento cognitivo già nell’ondata 0, sembrano necessarie competenze specialistiche per i punti decisionali successivi (cioè, onde 1-3). Uno degli avvertimenti contenuti nelle raccomandazioni della task force è che la loro utilizzazione  richiede un elevato livello di competenza, che probabilmente si trova solo tra gli specialisti nella cura della demenza. Tuttavia, questo requisito non è facilmente raggiungibile perché in tutta Europa, o negli Stati Uniti o in Canada, ci sono pochi medici con la formazione necessaria nella cura della demenza. Negli Stati Uniti, le richieste di trattamento dovute alla recente disponibilità di Lecanemab peseranno sullo scarso accesso alle cure diagnostiche consultive per la demenza. Intanto l’acume clinico continuerà ad essere estremamente rilevante per diagnosticare e gestire i pazienti con problemi cognitivi.

 

Lancet Neurology  2024; 23: 312

 

Si veda anche:  https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa2310168?query=featured_home .

 

Si consiglia la visione di : https://www.rainews.it/rubriche/tg2medicina33/video/2024/02/Tg2-Medicina-33-del-15022024-f6cb8e77-839d-4881-b37d-8ec693934f05.html

 



La richiesta di innovazione e sviluppo delle cure primarie  utilizzando anche le tecnologie di comunicazione e la telemedicina è forte, ma la realizzazione di cambiamenti utili a migliorare l’ efficienza e la qualità di questo settore fondamentale della sanità pubblica  sembra lontana. Non mancano esempi extranazionali imitabili. L’ riorganizzazione delle cure territoriali per ora e siamo nel 2023, sembra lenta;  è difficile introdurre idee innovatrici: prevalgono elenchi e percentuali, carenze di personale, notizie ripetute sull’ affollamento dei servizi e le liste di attesa insopportabili, mancano risorse. I pronti soccorso degli ospedali  sono i servizi preferiti dagli utenti della sanità in caso di necessità: si tratta di un punto di riferimento unico e pertanto molto  affollato; l’ accesso ai pronti soccorso è spesso auto prescritto dal cittadino (codici bianchi). La descritta disponibilità delle case della salute o di comunità non ha per ora cambiato il trend: la loro apertura non è quella proclamata di 24 ore su 24: la giustificazione è la carenza di personale medico e infermieristico presente ormai da diversi anni. Complessivamente la qualità delle cure e dell’ assistenza nei setting extraospedalieri sembra modesta e inadeguata ai problemi che affliggono i cittadini.

Il risultato persistente è la difficoltà dell’ utente anche anziano di avere delle risposte agevoli ai suoi problemi insorti da poco oppure, più frequentemente, presenti cronicamente, a volte complicati da menomazioni e disabilità di variabile gravità.  L’ accreditamento dei servizi sanitari a disposizione dovrebbe essere in grado di precisare i punti deboli da migliorare con provvedimenti ad hoc.

Le soluzioni non sono facili anche perché il sistema è gravato da una burocrazia autoreferenziale che continua ad essere dominante e vincente. L’ insegnamento delle cure primarie dovrebbe avvenire in ambiente qualificato e non insistere su percorsi che già hanno dimostrato la loro modesta efficienza. Si veda come esempio formativo: https://www.phc.ox.ac.uk/study/undergraduate .

Alcuni importanti ospedali non italiani si sono dotati di Primary Care Center e di Primary centered medical homes attivi sul territorio come modello di cure primarie funzionanti ed efficaci. Si veda come esempio: https://www.brighamandwomens.org/primary-care-center   e   https://allgemeinmedizin.charite.de/en/institute/ .

La loro attività si qualifica utilizzando ampiamente  la comunicazione compresa la telemedicina e  la integrazione delle attività di vari servizi e competenze ; inoltre monitorizza i risultati ottenuti. Le tecnologie  consentono il rapido accesso alle competenze mediche richieste dal caso clinico singolo consentendo  così l’ integrazione delle cure del paziente.

I problemi burocratici sindacali e anche di legislazione sanitaria connessi a queste iniziative sono sicuramente  complessi, ma forse vale la pena di affrontarli anche perché sembrano migliorativi tenendo conto anche degli obiettivi di un azienda ospedaliera fortemente coinvolta nella formazioni di personale sanitario con diverse qualifiche e anche specializzato.  In Italia non esiste purtroppo la cartella clinica informatizzata la cui utilizzazione diffusa consentirebbe di creare banche dati fondamentali non solo per la doverosa ricerca clinica applicata, ma anche per fornire valutazioni  sui risultati e costi/benefici delle procedure attuate nella casistica considerata.

Si potrebbe nelle singole sedi universitarie con  corso di laurea di medicina e chirurgia  attivare un centro didattico di cure primarie in una casa della salute o di comunità già esistente: un laboratorio didattico formativo. Gli obiettivi sono molteplici:

  1. Primary care anche per la ricerca, la formazione dei medici e degli infermieri dei corsi di laurea;
  2. Sarà la sede dove si insegna anche praticamente la telemedicina: il centro sarà dotato di strumentazione idonea anche agli obiettivi didattici e formativi. Il Centro didattico farà riferimento al Fascicolo sanitario elettronico nella nuova edizione modificata.
  3. Il centro didattico opererà su una coorte di utenti di varia età, concordata con i Medici di famiglia interessati e con il servizio demografico della AUSL. La collaborazione del Dipartimento di cure primarie è fondamentale.
  4. Sono coinvolti i corsi di laurea di Medicina e chirurgia, Infermieristica, Fisioterapisti, ……… Si pensi anche alle attività professionalizzanti dei corsi di laurea che qui potrebbero svolgersi per affinare le competenze.
  5. Sono coinvolte le scuole di specializzazione dell’ area medica, Ginecologia e Ostetricia, Pediatria, Cardiologia…..
  6. Si potrà operare un confronto a distanza (ricerca) sui risultati ottenuti in un certo periodo sulla coorte afferente al Centro didattico e su un gruppo di controllo da individuare.
  7. Il problema dell’ età degli utenti : i grandi anziani(> 85 anni) hanno beneficio da cure ambulatoriali ? Ci sono alcune evidenze che il day hospital attivo e multidisciplinare potrebbe essere vantaggioso per gli anziani fragili.

 

Chi scrive è consapevole delle difficoltà che si incontrerebbero nella realizzazione di questo semplice e qualificato progetto per migliorare la qualità e l’efficacia delle cure primarie e anche il loro insegnamento  in quanto settore fondamentale della sanità.

 

 

 


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